Letture 2015 | |
L' ateismo di Nietzsche e il cristianesimo |
«Dopo Nietzsche» (Ròcken, 15 ottobre 1844 - Weimar, 15 agosto 1900) — scrive Welte nell’introduzione a questo saggio — «la nostra vita è stata diversa, e non possiamo più essere tali e quali saremmo, se lui non fosse esistito». Il suo annuncio della morte di Dio non è solo enunciazione di una tesi filosofica personale, ma — come hanno osservato Jaspers e Heidegger — il diagnostico di un’epoca, di cui Nietzsche è stato «il dolente testimone». Bernhard Welte entra in dialogo con l’idea centrale del discorso nietzscheano e vede l’ateismo di Nietzsche fondato su una volontà d’ esistenza, che pronuncia un sì incondizionato alla vita, tale da escludere un Incondizionato divino, che limiti e coarti la volontà d’esistenza dell’uomo. Ma così Nietzsche, nell’interpretazione di Welte, radicalizza il problema della grazia, che sola può salvare l’uomo dalla sua finitezza. Un saggio, rapido e denso, che risale al 1958, ma che mantiene tutta la sua attualità culturale e teologica, per la conoscenza dei testi, per la metodica dialogica, per la dialettica dell’argomentazione, per l’urgenza del confronto, e che viene pubblicato per la prima volta in edizione italiana in occasione del 150° anniversario della nascita del filosofo tedesco. Postfazione di Giorgio Penzo dell’università di Padova
Bernhard Welte (1 906-1983), discepolo di Heidegger, è stato professore di filosofia della religione all’università di Friburgo di Brisgovia, in Germania. In qualità di discepolo e di sacerdote cattolico è stato lui a tenere il discorso alla sepoltura di Martin Heidegger, nel 1976, sul motivo «Cercare e trovare». L’ambito della sua ricerca è stato soprattutto la filosofia della religione nel confronto con il pensiero contemporaneo e con i più importanti pensatori del passato. È stato membro del Comitato di consultazione della rivista internazionale di teologia Concilium per la sezione «Teologia fondamentale». Autore di numerosi scritti, in questa collana ha già pubblicato La luce del nulla (Gdt 142), che «forse è il più nietzscheano di tutti i suoi scritti» (G. Penzo). |